12 ottobre – Giornata Mondiale delle malattie reumatiche: riconoscerle, sfatare i miti e vivere meglio 

Le malattie reumatiche sono spesso invisibili ma colpiscono milioni di persone, condizionando gesti quotidiani che per alcuni sono scontati: aprire una bottiglia, salire le scale, stringere una mano. In occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Reumatiche che si tiene ogni 12 ottobre, vogliamo raccontare cosa significa conviverci davvero: dai sintomi più noti a quelli meno riconosciuti, fino ai falsi miti e ai consigli pratici per migliorare la qualità di vita. 

Cosa sono le malattie reumatiche 

Le malattie reumatiche comprendono oltre 200 patologie che interessano articolazioni, ossa, muscoli e tendini. Alcune hanno natura autoimmune, altre degenerativa, e possono coinvolgere anche organi interni. L’infiammazione cronica o il danno tissutale portano a dolore, rigidità e perdita di funzionalità. 

Malattie reumatiche: elenco delle principali 

Le malattie reumatiche comprendono una gamma molto ampia di condizioni, alcune rare e altre estremamente diffuse. Tra le patologie più comuni troviamo: 

  • artrite reumatoide; 
  • spondilite anchilosante e altre spondiloartriti; 
  • artrite psoriasica; 
  • lupus eritematoso sistemico; 
  • sclerosi sistemica; 
  • sindrome di Sjögren; 
  • vasculiti; 
  • gotta. 

Secondo la Società italiana di Reumatologia, accanto a queste, rientrano nell’ambito delle malattie reumatiche anche: 

  • artrosi;  
  • osteoporosi; 
  • fibromialgia; 
  • mal di schiena cronico. 

Quanto sono diffuse le malattie reumatiche

A livello globale, le malattie muscoloscheletriche colpiscono circa 1,71 miliardi di persone e rappresentano la prima causa di disabilità nel mondo. 

In Europa, i dati raccolti da EULAR evidenziano che circa 120 milioni di cittadini convivono con una malattia reumatica: un numero destinato ad aumentare con l’invecchiamento della popolazione. Le conseguenze non si limitano alla salute, queste patologie sono infatti tra le principali cause di pensionamento anticipato, assenze prolungate dal lavoro e riduzione della produttività

Questo quadro rende evidente l’urgenza di strategie mirate di prevenzione, diagnosi precoce e ricerca scientifica, indispensabili per ridurre l’impatto clinico, sociale ed economico delle malattie reumatiche. 

I sintomi comuni e meno noti delle malattie reumatiche

Riconoscere precocemente i segnali delle malattie reumatiche è fondamentale per avviare un percorso di diagnosi e cura tempestivo. I sintomi, però, non sempre sono immediatamente chiari: alcuni si manifestano in modo evidente, altri sono spesso confusi con disturbi passeggeri. Saper distinguere i campanelli d’allarme è il primo passo per proteggere articolazioni e organi interni e per preservare la qualità della vita. 

Sintomi principali 

  • Dolore e rigidità articolare, soprattutto al mattino.
  • Gonfiore e perdita di funzionalità delle articolazioni. 
  • Mal di schiena infiammatorio che migliora con il movimento. 
  • Fenomeno di Raynaud (dita che cambiano colore con il freddo). 
  • Secchezza oculare e orale persistente. 

Sintomi meno noti 

Oltre ai segni tipici, molte malattie reumatiche si associano a fatica intensa, disturbi del sonno e difficoltà di concentrazione, sintomi invisibili ma altamente invalidanti, oggi riconosciuti dalle linee guida europee come una priorità clinica. Non vanno sottovalutati anche segnali più atipici, come disturbi cutanei, problemi gastrointestinali, palpitazioni o difficoltà respiratorie, che possono riflettere il coinvolgimento di organi interni. 

Come si diagnosticano 

Arrivare a una diagnosi è possibile. Il percorso diagnostico comprende un approccio multidisciplinare che combina:  

  • visita reumatologica approfondita; 
  • esami di laboratorio (anticorpi anti-CCP, fattore reumatoide, VES, PCR, autoanticorpi specifici); 
  • esami di imaging come ecografia articolare, radiografie e risonanza magnetica.

Individuare la malattia in fase precoce permette di rallentare la progressione e prevenire danni permanenti. 

Le difficoltà di chi convive con una malattia reumatica 

Non si tratta soltanto di dolore fisico: le malattie reumatiche limitano l’autonomia, ostacolano la vita lavorativa e riducono la possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale. I disturbi muscoloscheletrici, infatti, rappresentano una delle principali cause di perdita di produttività

Chi convive con una malattia reumatica presenta un rischio di ansia e depressione quasi doppio rispetto alla popolazione generale, oltre a un’aumentata probabilità di sviluppare altre patologie croniche come malattie cardiovascolari, diabete e osteoporosi. Tutti questi fattori rendono il riconoscimento precoce e la gestione tempestiva ancora più cruciali per preservare qualità di vita e benessere complessivo. 

Falsi miti da sfatare 

Le malattie reumatiche sono circondate da luoghi comuni che rischiano di banalizzare la loro gravità o di ostacolare la corretta gestione. È importante chiarire cosa è vero e cosa no, per aiutare chi ne soffre a ricevere diagnosi e cure tempestive. 

  • “Sono malattie solo degli anziani”. Colpiscono anche giovani e bambini. 
  • “Sono malattie solo degli anziani”. Colpiscono anche giovani e bambini. 
  • “Il riposo è la cura migliore”. L’attività fisica adattata è parte integrante del trattamento. 
  • “Il clima può curarle”. Non esistono prove scientifiche. Il meteo può influenzare la percezione del dolore, ma non l’attività biologica della malattia. 

Strategie per migliorare la qualità di vita 

Convivere con una malattia reumatica non significa arrendersi al dolore o alla perdita di autonomia. Oggi, grazie ai progressi della ricerca e a percorsi di cura sempre più personalizzati, esistono strategie concrete che aiutano a mantenere indipendenza e benessere. La chiave è un approccio integrato che comprende: 

  • consulto specialistico dal reumatologo ai primi sintomi sospetti; 
  • attività fisica regolare, calibrata alle condizioni individuali; 
  • stile di vita sano: alimentazione equilibrata, stop al fumo, sonno regolare; 
  • affidarsi a un team multidisciplinare che includa reumatologo, fisioterapista, nutrizionista e supporto psicologico. 

Le malattie reumatiche non sono soltanto dolori articolari: sono patologie croniche che condizionano profondamente la vita di chi ne soffre. La Giornata Mondiale delle malattie reumatiche, è l’occasione per ricordare l’importanza di riconoscere i sintomi, sfatare i falsi miti e promuovere la diagnosi precoce

29 settembre – Giornata mondiale del cuore. Com’è cambiata la salute del cuore negli anni? 

In occasione della Giornata Mondiale del Cuore, riflettiamo su come la salute cardiovascolare sia cambiata nel tempo. Le terapie avanzate e la prevenzione hanno ridotto in modo drastico i decessi per infarto; tuttavia, le malattie croniche rappresentano una sfida crescente. 

 In questo articolo approfondiamo i dati più recenti sull’evoluzione delle malattie cardiovascolari, il quadro epidemiologico in Italia e il ruolo decisivo della prevenzione, offrendo spunti pratici per proteggere la salute del cuore. 

Infarti mortali in calo, ma patologie croniche in aumento 

Negli ultimi decenni la cardiologia ha rivoluzionato la prognosi dell’infarto. Terapie farmacologiche sempre più mirate, la diffusione dei defibrillatori e una gestione più rapida delle emergenze hanno ridotto drasticamente la mortalità. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of the American Heart Association, in 50 anni i decessi da infarto si sono ridotti dell’89%, un risultato che testimonia l’impatto straordinario della ricerca scientifica e dell’innovazione clinica. 

Ma se l’infarto è oggi meno letale, le malattie croniche del cuore sono in costante crescita. Lo scompenso cardiaco è aumentato dell’81%, le aritmie del 67% e l’ipertensione a lungo termine del 20%. Queste condizioni, sempre più diffuse con l’allungarsi della vita, mettono il cuore sotto un carico continuo che ne compromette progressivamente la funzionalità. 

La trasformazione è evidente anche nella distribuzione delle cause di morte cardiaca: nel 1970 le patologie croniche rappresentavano appena il 9% dei decessi cardiovascolari, oggi ne costituiscono il 47%. In particolare, i decessi legati alle aritmie sono cresciuti del 450%, quelli per insufficienza cardiaca del 146% e quelli per cardiopatia ipertensiva del 106%. Un quadro che descrive con chiarezza come il cuore, pur vivendo più a lungo, sia sempre più esposto al peso delle malattie croniche. 

Le malattie cardiovascolari in Italia: un sorvegliato speciale 

Nel nostro Paese, le malattie cardiovascolari rappresentano ancora una delle principali cause di morte, con un impatto che si riflette non solo sul piano sanitario ma anche su quello sociale ed economico. Secondo i dati dell’Osservatorio Cuore dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2021 le malattie del sistema circolatorio hanno provocato oltre 240.000 decessi, pari al 41,1% di tutte le morti registrate in Italia. Tra queste, le malattie ischemiche del cuore, come l’infarto miocardico, hanno rappresentato circa 81.400 decessi, ovvero quasi un terzo del totale. 

Le cifre diventano ancora più chiare se si osserva il dato medio annuo: in Italia le malattie cardiovascolari causano circa 224.000 morti ogni anno, che equivalgono a più di 600 decessi al giorno. Nonostante i grandi successi ottenuti dalla ricerca medica, il cuore continua a essere il “sorvegliato speciale” per eccellenza. 

Perché la prevenzione resta l’arma più efficace 

Se le terapie hanno ridotto drasticamente la mortalità immediata, la vera partita si gioca sulla prevenzione. Le istituzioni sanitarie internazionali, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ricordano che oltre l’80% delle malattie cardiovascolari potrebbe essere evitato intervenendo sui principali fattori di rischio.  

Le raccomandazioni includono l’adozione di una dieta equilibrata, ricca di alimenti vegetali e povera di grassi saturi, zuccheri e sale, la pratica regolare di attività fisica (almeno 150 minuti di esercizio moderato alla settimana), la cessazione del fumo e il monitoraggio costante della pressione arteriosa e dei livelli di colesterolo

Anche la gestione dello stress gioca un ruolo cruciale: l’eccessiva esposizione a situazioni stressanti, infatti, influisce negativamente sulla pressione e sul battito cardiaco, aumentando il rischio di sviluppare patologie a lungo termine. In questo senso, la prevenzione non deve essere intesa come un sacrificio, ma come un investimento concreto sulla propria qualità di vita e sulla possibilità di mantenere il cuore sano nel tempo. 

Giornata internazionale del benessere sessuale: perché parlarne è prevenzione  

Giornata internazionale del benessere sessuale

La sessualità è una dimensione fondamentale dell’esperienza umana, eppure viene spesso relegata ai margini del discorso pubblico, trattata come un argomento scomodo o esclusivamente clinico. Parlare di benessere sessuale significa invece riconoscere che corpo, desiderio, relazioni e identità sono elementi profondamente interconnessi, che meritano ascolto, rispetto e cura.  

In occasione della Giornata internazionale del benessere sessuale, che si celebra ogni 4 settembre, è essenziale ampliare lo sguardo: non limitarsi alla prevenzione sanitaria, ma promuovere una cultura che abbracci la complessità della sessualità. Questo cambiamento richiede consapevolezza individuale, responsabilità collettiva, educazione affettiva, tutela dei diritti e ambienti inclusivi.  

Cosa si intende per salute sessuale 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute sessuale come “uno stato di benessere fisico, emotivo, mentale e sociale in relazione alla sessualità”. Un’espressione che, nella sua apparente semplicità, racchiude una visione più ampia: non si tratta solo di assenza di malattia, ma presenza di piacere, sicurezza, libertà e dignità.  

La salute sessuale comprende:  

  • il diritto all’autodeterminazione del corpo;  
  • la possibilità di vivere relazioni consensuali e appaganti;  
  • l’accesso a informazioni scientificamente corrette;  
  • la protezione da violenze, coercizioni e discriminazioni.  

Affrontare questo tema significa quindi parlare di equità, giustizia sociale e diritti umani. Il benessere intimo non è un privilegio, ma una condizione essenziale per una vita piena e libera.  

Perché parlare di benessere sessuale è fondamentale 

Il silenzio che circonda la sessualità è spesso il frutto di retaggi culturali, religiosi e educativi che l’hanno associata al peccato e alla vergogna. Questo silenzio genera insicurezza, alimenta stereotipi e ostacola l’accesso a cure e informazioni.  

Aprire un dialogo sul benessere sessuale significa:  

  • decostruire tabù e normalizzare il linguaggio del corpo;  
  • promuovere l’alfabetizzazione sessuale fin dall’infanzia  
  • valorizzare il consenso come principio relazionale;  
  • offrire spazi sicuri per il confronto con professionisti.  

I dati sulle infezioni sessualmente trasmissibili 

In Europa, secondo l’ultimo rapporto epidemiologico 2023 del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC), i casi sono in forte aumento. 

  • Gonorrea: quasi 97.000 casi confermati, con un incremento del 31% rispetto al 2022 e del 321% rispetto al 2014. Le fasce più colpite sono le donne tra i 20 e i 24 anni e gli uomini tra i 25 e i 34 anni; il 58% dei casi riguarda uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM). 
  • Sifilide: oltre 41.000 casi, con un aumento del 13% in un solo anno e un raddoppio rispetto al 2014. Il 72% delle diagnosi riguarda MSM. 
  • Clamidia: rimane l’infezione sessualmente trasmissibile batterica più diffusa, con oltre 230.000 casi nel 2023, particolarmente frequente tra le giovani donne di 20-24 anni. 
     

Le nuove linee guida dell’OMS

A livello globale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha recentemente ampliato le proprie linee guida per la prevenzione e la cura delle infezioni sessualmente trasmissibili (IST), introducendo raccomandazioni mirate alla gestione delle infezioni asintomatiche e al miglioramento dell’erogazione dei servizi sanitari. Le nuove indicazioni prevedono: 

  • screening specifici per gonorrea e clamidia nei contesti ad alta prevalenza, con particolare attenzione a donne in gravidanza, adolescenti e giovani sessualmente attivi (10-24 anni), sex worker e MSM; 
  • controlli almeno annuali, o semestrali per le popolazioni più esposte; 
  • una maggiore integrazione dei servizi, anche attraverso strumenti digitali, e una sorveglianza più capillare della resistenza agli antibiotici. 

Questi dati e aggiornamenti mettono in evidenza l’urgenza di rafforzare le strategie di prevenzione: campagne di informazione mirate, accesso facilitato ai test, vaccinazioni e trattamenti tempestivi. Allo stesso tempo, richiamano l’attenzione sulla necessità di politiche nazionali più aggiornate e inclusive, per colmare le lacune ancora presenti nella lotta alle IST. 

Come migliorare la salute sessuale 

Coltivare il benessere sessuale significa adottare comportamenti consapevoli che tutelano la salute, rafforzano la fiducia e favoriscono relazioni sane. Non si tratta di seguire regole rigide, ma di compiere scelte informate, nel rispetto di sé e degli altri.  

1. Cura medica e prevenzione 

  • Visite regolari: ginecologi, andrologi, urologi o sessuologi permettono di monitorare la salute e affrontare eventuali problematiche in modo tempestivo. Un medico competente e accogliente diventa un alleato prezioso. 
  • Screening e test periodici: Pap test (test di Papanicolaou), l’HPV test (test per il papillomavirus umano), tamponi e test per le infezioni sessualmente trasmissibili ed epatiti, sono strumenti fondamentali di prevenzione. La frequenza e il tipo di esame vanno personalizzati in base all’età, allo stile di vita e alla storia clinica. 
  • Contraccezione consapevole: esistono molte opzioni (preservativi, pillola, spirale, impianti, metodi naturali). La scelta deve essere informata, condivisa e rispettosa delle esigenze individuali. 

2. Educazione sessuale e affettiva 

  • Alfabetizzazione sessuale: conoscere l’anatomia, il funzionamento del desiderio, le dinamiche del consenso e le emozioni è fondamentale per vivere relazioni sane. 
  • Decostruzione dei miti: superare stereotipi come “il sesso è solo penetrazione” o “il piacere è uguale per tutti” libera la sessualità da modelli rigidi e spesso dannosi. 
  • Educazione continua: la sessualità evolve nel tempo. Informarsi, confrontarsi e aggiornarsi è utile a ogni età. 

3. Comunicazione e relazioni 

  • Dialogo con il partner: parlare apertamente di desideri, limiti, fantasie e paure favorisce fiducia e complicità. 
  • Consenso esplicito e reciproco: il consenso è presenza attiva di volontà e non è solo assenza di rifiuto. Deve essere continuo, informato e revocabile. 
  • Gestione delle differenze: imparare a navigare le divergenze sessuali con empatia e rispetto è parte integrante del benessere relazionale. 

4. Benessere psicologico e sessualità 

  • Accettazione del corpo: l’immagine corporea influisce profondamente sulla sessualità. Lavorare sull’autostima e sull’accettazione migliora il piacere e la sicurezza. 
  • Gestione dello stress e delle emozioni: ansia, depressione, traumi o difficoltà relazionali influenzano la vita sessuale. Il supporto psicologico è uno strumento prezioso. 
  • Sessualità e neurodivergenze: persone con ADHD, autismo o altre neurodivergenze vivono la sessualità in modi diversi. Serve un approccio inclusivo e personalizzato. 

Sessualità e benessere: un diritto per tutti 

Il benessere sessuale è parte integrante della salute individuale. Riguarda ogni persona, indipendentemente da età, genere, orientamento o condizione sociale.  

Celebrare questa giornata significa affermare che prendersi cura della propria sessualità è un atto di responsabilità, di autodeterminazione e di amore verso sé stessi. È un invito a costruire una società più consapevole, rispettosa e libera.  

Prenota una visita con i nostri specialisti per iniziare a prenderti cura del tuo benessere sessuale con consapevolezza e serenità. 

Cistite: come affrontarla con le abitudini giuste  

La cistite è un’infiammazione delle vie urinarie che interessa soprattutto la vescica e colpisce con maggiore frequenza le donne, ma non è da escludere anche nell’uomo. Imparare a riconoscerla e sapere cosa fare e cosa evitare è fondamentale per affrontarla in modo efficace e ridurre il rischio di ricadute. 

Perché viene la cistite: le cause più comuni 

Secondo la Fondazione Veronesi, la cistite è spesso legata a una combinazione di fattori che favoriscono l’irritazione o l’infezione delle vie urinarie. Le cause sono: 

  • Infezione batterica (in genere da Escherichia coli
  • Rapporti sessuali non protetti o troppo ravvicinati 
  • Alimentazione irritante per la vescica 
  • Igiene intima scorretta 
  • Alterazioni ormonali 
  • Uso di indumenti troppo stretti o sintetici 

Sintomi da riconoscere subito  

Come indicato dall’Istituto Superiore di Sanità, la cistite presenta sintomi riconoscibili che, se individuati precocemente, permettono di agire in modo tempestivo e ridurre il rischio di complicanze. 

Tra i sintomi più frequenti troviamo: 

  • Bruciore e dolore durante la minzione 
  • Stimolo urinario frequente e urgente 
  • Urina torbida o maleodorante 
  • Sensazione di peso al basso ventre 
  • In alcuni casi, presenza di sangue nelle urine 

Cosa fare quando compaiono i sintomi 

Il primo passo è consultare il medico ed eseguire esami delle urine e urinocoltura per confermare la diagnosi e l’origine della causa. È importante non iniziare trattamenti “fai da te”, per evitare l’uso scorretto degli antibiotici e il rischio di resistenze. 

Abitudini efficaci per prevenire la cistite 

Oltre alla terapia, alcune buone abitudini quotidiane aiutano a prevenire la comparsa della cistite o a ridurne la frequenza: 

  • Bere molta acqua durante la giornata 
  • Non trattenere mai l’urina 
  • Curare l’igiene intima senza eccedere nei lavaggi 
  • Indossare biancheria in cotone traspirante 
  • Urinare prima e dopo i rapporti 
  • Evitare l’uso eccessivo di assorbenti interni o salva-slip 

Cosa mangiare (e cosa evitare) in caso di cistite 

L’alimentazione gioca un ruolo importante nella prevenzione e nella gestione della cistite. Alcuni cibi irritano la parete della vescica, accentuando bruciore e dolore, mentre altri aiutano a sfiammare l’infiammazione e a mantenere le urine più diluite. 

Durante la fase acuta si devono eliminare o ridurre fortemente tutti gli alimenti irritanti, come cibi piccanti, salse a base di pomodoro, agrumi, cioccolato, caffè e alcolici. Anche le bevande zuccherate o contenenti dolcificanti artificiali peggiorano i sintomi. 

Meglio privilegiare una dieta semplice, a base di verdure cotte, cereali integrali, frutta non acida (come mela e banana), proteine leggere (come pollo e pesce) e abbondante acqua naturale. Bere molto è fondamentale per aiutare l’organismo a eliminare i batteri attraverso le urine. 

Ogni persona reagisce in modo diverso a determinati cibi: per questo motivo, è utile osservare le proprie reazioni e parlarne con il medico o un nutrizionista. 

 
Cistite post-coitale: come prevenirla dopo i rapporti 

La cistite post-coitale è una forma frequente, soprattutto nelle donne, e si manifesta dopo i rapporti sessuali. In questi casi, i sintomi tipici della cistite compaiono entro poche ore o il giorno successivo, con bruciore, urgenza urinaria e dolore al basso ventre. 

Il motivo principale è la risalita dei batteri lungo l’uretra durante il rapporto, in particolare quando la flora batterica vaginale è alterata o quando ci sono condizioni anatomiche favorevoli (come un’uretra molto corta). 

Per prevenirla è importante seguire alcune semplici accortezze: 

  • Urinare subito dopo il rapporto per aiutare a eliminare eventuali batteri 
  • Curare l’igiene intima, senza esagerare con i lavaggi 
  • Utilizzare detergenti con ph acido e non aggressivi 
  • Mantenere una buona idratazione 
  • Parlare con il ginecologo in caso di episodi ricorrenti: esistono protocolli specifici per la prevenzione, che includono anche l’uso mirato di integratori o, in alcuni casi, antibiotici a basso dosaggio sotto controllo medico. 

Prendere sul serio la cistite dopo i rapporti è importante, perché la ripetizione frequente degli episodi influisce sulla qualità della vita e sulla serenità della sfera intima. 

Cistite interstiziale: quando non è un’infezione 

Esistono anche forme di cistite più gravi, come la cistite interstiziale, non causata da infezione ma legata a una disfunzione cronica della parete vescicale. La cistite interstiziale è più diffusa di quanto si pensi, ma viene spesso sottodiagnosticata perché i sintomi imitano quelli della cistite batterica, senza però rispondere agli antibiotici. 

I disturbi includono dolore pelvico, stimolo urinario frequente e fastidio durante i rapporti. Le cause esatte sono diverse da persona a persona, ma spesso nasce da cistiti trascurate o curate male, che danneggiano la mucosa e portano a infiammazione e ipersensibilità cronica. Il trattamento è personalizzato e può includere dieta mirata, farmaci sintomatici, infiltrazioni vescicali di acido ialuronico e fisioterapia del pavimento pelvico.  

Ascoltare i segnali del proprio corpo, curare l’igiene, seguire un’alimentazione adeguata e rivolgersi al medico in caso di sintomi ricorrenti sono le basi per tutelare il benessere delle vie urinarie e prevenire le recidive. 

Acne in estate: come protegge la pelle e controllare i fattori che la peggiorano  

Card grafica sull'acne dal titolo: "Come curare l'acne in estate"

Nei mesi estivi, sudore e protezioni solari accentuano le imperfezioni cutanee, soprattutto nei soggetti predisposti. L’acne estiva, nota anche come acne solare, è una condizione comune che peggiora con il caldo e l’esposizione prolungata al sole. Oltre il viso può colpire anche altre parti del corpo come schiena, spalle e petto. 

Conoscere il tipo di acne e scegliere i trattamenti giusti è fondamentale per affrontare i mesi più caldi senza rinunciare al benessere della pelle

Cos’è l’acne e quanto dura 

L’acne è un’infiammazione dei follicoli pilosebacei della pelle e si presenta in diverse forme, da acne leggera fino a forme più gravi come l’acne nodulo cistica o l’acne papulo pustolosa. In estate, l’aumento della sudorazione e l’uso di cosmetici comedogeni favoriscono la comparsa di lesioni infiammatorie. In questo periodo, i sintomi tendono ad attenuarsi, ma senza una corretta gestione, peggiorano alla fine della stagione.  
 
La durata varia molto: l’acne giovanile in genere si protrae per qualche anno, ma esistono anche forme di acne tardive, che compaiono in età adulta, con durata variabile. Quest’ultima tipologia necessita di trattamenti mirati e spesso è riconducibile a squilibri ormonali. 

Come riconoscere il tipo di acne 

Capire il tipo di acne è il primo passo per agire in modo corretto. Ne esistono diverse forme, ognuna con caratteristiche specifiche: 

  • acne leggera: piccoli punti neri, brufoli isolati e pelle leggermente infiammata. 
  • Acne papulo pustolosa: presenza di brufoli con pus e papule infiammate. 
  • Acne nodulo cistica: noduli (cisti) profondi e dolorosi. 
  • Acne tardiva: si presenta in età adulta, soprattutto nelle donne, con lesioni infiammate localizzate su mandibola, mento e collo. 
  • Acne solare: simile a una follicolite, compare dopo esposizione al sole. Sul resto del corpo è favorita sudore, magliette sintetiche e poca traspirazione. 
  • Acne da stress: spesso legata a periodi di affaticamento psicofisico, con brufoli localizzati, talvolta anche sul petto o sulla schiena. 

In caso di dubbi o acne persistente, è sempre consigliata una visita specialistica, per stabilirne il grado e il tipo. 

I fattori che peggiorano l’acne in estate 

Durante i mesi caldi, diversi fattori contribuiscono a peggiorare l’acne: 

  • sudorazione eccessiva. 
  • Prodotti solari troppo grassi e non traspiranti. 
  • Prodotti make-up occlusivi.  
  • Detersione aggressiva o troppo frequente. 
  • Indumenti sintetici, soprattutto nel caso di acne sulla schiena. 

Anche l’abitudine di esporre la pelle al sole senza protezione solare, nella speranza di “asciugare” i brufoli, ne comporta un peggioramento a fine estate (il cosiddetto “effetto rebound”, che approfondiremo nel prossimo paragrafo). 

Cos’è l’effetto rebound? 

Molte persone notano un apparente miglioramento dell’acne, soprattutto dopo l’esposizione al sole. La pelle sembra più asciutta, le lesioni si attenuano e l’abbronzatura uniforma l’incarnato. Tuttavia, questo effetto è temporaneo: quando si smette di esporsi al sole con regolarità, si assiste a un peggioramento improvviso dell’acne, noto come effetto rebound. I raggi UV inizialmente riducono l’infiammazione e seccano la pelle, rallentando la comparsa dei brufoli. Ma nel frattempo: 

  • la pelle si inspessisce per difesa (ipercheratinizzazione) 
  • Le ghiandole sebacee aumentano la produzione di sebo per compensare la secchezza 
  • I pori si occludono facilmente, favorendo la formazione di nuove lesioni infiammatorie 

Quando si interrompe l’esposizione solare, questi meccanismi riattivano l’acne in modo più intenso con brufoli diffusi. 

Come proteggere la pelle (senza innescare l’effetto rebound) 

Per prevenire l’effetto rebound, è fondamentale proteggere e idratare la pelle ogni giorno

  • applica una protezione solare 50+ specifica per il viso, ad ampio spettro (UVA/UVB), non comedogena. 
  • Rinnova l’applicazione ogni 2 ore 
  • Scegli texture leggere: fluide, gel o spray. 
  • Detergi la pelle mattina e sera con detergenti delicati. 
  • Mantieni la pelle idratata, anche quella grassa: usa creme idratanti e lenitive leggere a base di niacinamide, acido ialuronico o gel d’aloe. 
  • Evita l’uso combinato di troppi attivi irritanti, come esfolianti o retinoidi fotosensibilizzanti. 
  • Evita di toccare le lesioni o schiacciarle. 

Come curare l’acne in estate (e non solo) 

Che sia estate o nel resto dell’anno, non esistono prodotti miracolosi che funzionano per tutti. Ogni pelle è diversa e ha bisogno di un trattamento personalizzato.  

Gli esfolianti chimici, come gli alfa e beta idrossiacidi (AHA e BHA), sono tra gli attivi più utilizzati nei prodotti per pelli acneiche. Pur essendo efficaci, vanno usati con cautela, soprattutto in estate, perché sono fotosensibilizzanti e causano irritazioni se applicati prima dell’esposizione al sole. Quando la pelle è già infiammata — anche in modo lieve — è importante non irritarla ulteriormente. Per questo, in questi casi, è meglio limitare l’uso di esfolianti e preferire prodotti idratanti e lenitivi. 

Alimentazione e acne: quali cibi aiutano davvero la pelle? 

La salute della pelle passa anche da ciò che mangiamo. Alcuni alimenti riducono l’infiammazione e migliorano la salute della pelle. Altri, al contrario, favoriscono la comparsa di brufoli e impurità. 

È importante scegliere cibi freschi, ricchi di acqua e antiossidanti, che aiutano l’equilibrio della pelle:  

  • Frutta fresca e verdura cruda (in particolare rucola e radicchio) 
  • Legumi e cereali integrali  
  • Olio extravergine d’oliva (ricco di antiossidanti) 
  • Acqua, da bere abbondantemente  

Al contrario si devono limitare i cibi ricchi di istamina che aumentano l’infiammazione della pelle:  

  • Cibi affumicati e fermentati 
  • Formaggi stagionati 
  • Alcuni tipi di pesce (tonno, sgombro, acciughe) 
  • Avocado, uova e cocco e frutta secca 
  • Cibi pronti e processati 
  • Salumi, alcolici, alimenti ad alto indice glicemico. 

Affidarsi a un nutrizionista è il modo migliore per ricevere indicazioni personalizzate e realmente efficaci. 

Rivolgersi a un medico specialista  

Quando l’acne è grave e non tende a migliorare, è consigliabile rivolgersi a un dermatologo e, in alcuni casi, anche a un ginecologo. Infatti, squilibri ormonali — come quelli legati alla sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) — possono essere tra le cause dell’acne persistente. Solo una valutazione specialistica consente di definire con precisione l’origine del problema e impostare un trattamento davvero personalizzato.  

L’acne non si risolve in pochi giorni: è necessario seguire un protocollo per mesi, ma con costanza e con la giusta attenzione si vedranno miglioramenti visibili e duraturi. 

Osservare la pelle, usare prodotti adeguati e curare l’alimentazione sono le chiavi per affrontare ogni forma di acne, anche durante i mesi più caldi. 

Pressione bassa: come riconoscerla e gestirla d’estate 

L’estate è la stagione del sole, delle passeggiate all’aperto e delle giornate più lunghe. Ma per chi soffre di pressione bassa, i mesi più caldi diventano una vera sfida. Il caldo intenso, infatti, dilata i vasi sanguigni e accentua i disturbi legati all’ipotensione. 

In questo articolo rispondiamo alle domande più comuni e ti aiutiamo a capire come riconoscere e gestire la pressione bassa, soprattutto quando le temperature si alzano. 

Cos’è la pressione bassa 

Si parla di ipotensione o pressione bassa quando i valori della pressione arteriosa scendono sotto i 90/60 mmHg. A volte si tratta di una condizione fisiologica: chi fa molta attività fisica o ha una predisposizione genetica presenta valori più bassi del normale. In altri casi, invece, è un campanello d’allarme da non trascurare.  

A volte si tratta di una condizione fisiologica: chi fa molta attività fisica o ha una predisposizione genetica presenta valori più bassi del normale. In altri casi, invece, è un campanello d’allarme da non trascurare. 

Come capire se la pressione è bassa? 

I sintomi variano da persona a persona. Alcuni ne soffrono senza accorgersene, mentre altri manifestano malesseri anche importanti, specialmente d’estate. 

Sintomi comuni: 

  • Debolezza e stanchezza improvvisa 
  • Capogiri o vertigini, soprattutto quando ci si alza in piedi 
  • Visione offuscata 
  • Nausea 
  • Sudorazione fredda 
  • Svenimento (nei casi più severi) 

Se avverti uno o più di questi segnali con il caldo, è probabile che la pressione si sia abbassata più del solito. 

Le cause della pressione bassa 

Le cause sono molteplici, ma in estate i principali fattori scatenanti sono: 

  • Disidratazione: il caldo fa perdere molti liquidi attraverso la sudorazione. 
  • Esposizione prolungata al sole: la vasodilatazione può ridurre la pressione. 
  • Calo di zuccheri e sali minerali: favorisce una riduzione del tono circolatorio. 
  • Farmaci: alcuni diuretici o antipertensivi possono abbassare troppo la pressione. 
  • Digiuni prolungati o pasti troppo leggeri, tipici dei mesi caldi. 

Cosa fare? I rimedi per la pressione bassa 

Ecco alcuni rimedi semplici e immediati da mettere in pratica quando si ha la pressione bassa: 

  • Sdraiati con le gambe sollevate per aiutare il sangue a tornare al cervello.
  • Bevi acqua, anche se non hai sete. Reintegra liquidi e sali minerali.
  • Mangia qualcosa di salato, come grissini o un pezzetto di parmigiano. 
  • Evita gli sbalzi di temperatura, le docce troppo calde o ambienti eccessivamente affollati.
  • Muoviti con calma: alzarsi bruscamente dal letto o da una sedia accentua i capogiri. 

L’alimentazione gioca un ruolo fondamentale nella gestione dell’ipotensione. Alcuni cibi possono aiutarti a mantenere i valori più stabili durante la giornata: frutta fresca (come banane, albicocche, cocomero); frutta secca (mandorle, noci); cibi salati con moderazione (formaggi stagionati, olive); legumi e cereali integrali; tè verde o caffè (ma senza esagerare).  

In caso di pressione bassa persistente, è consigliato l’utilizzo di integratori a base di: 

  • Magnesio e potassio 
  • Vitamina C ed E 
  • Ginseng o eleuterococco, per il tono e l’energia 

Attenzione: prima di assumere qualsiasi integratore è sempre bene consultare il medico, soprattutto se stai già seguendo una terapia farmacologica. 

Quando la pressione bassa è preoccupante? 

La pressione bassa diventa un problema serio se è accompagnata a svenimenti frequenti, è persistente nonostante una buona idratazione e alimentazione oppure quando causa gravi difficoltà nella vita quotidiana. 

In questi casi è consigliabile rivolgersi al medico per escludere condizioni sottostanti (anemia, disfunzioni ormonali, disturbi cardiaci). 

La pressione bassa non è una malattia, ma può diventare fastidiosa e limitante, soprattutto d’estate. Con le giuste precauzioni e un po’ di consapevolezza, è possibile affrontare il caldo con serenità e restare in forma anche nei mesi più afosi. 

Esposizione al sole: quanto fa bene e quanto fa male? 

sole: alleato o nemico? esposizione solare fa bene , ma solo se lo si fa nel modo giusto


Con l’arrivo dell’estate, la voglia di stare all’aria aperta cresce. Sole, luce e giornate lunghe ci mettono di buonumore, ma ci espongono anche a rischi spesso sottovalutati. 
L’esposizione solare fa bene, ma è importante farlo in modo consapevole. Capire quando e come farlo fa la differenza tra un beneficio reale e un pericolo per la salute.  

Quali sono i benefici dell’esposizione solare?

Il sole non è solo sinonimo di abbronzatura. Una corretta esposizione solare, anche di soli 15–30 minuti al giorno su viso e braccia, stimola la produzione di vitamina D, fondamentale per la salute delle ossa, del sistema immunitario e del tono dell’umore.  

La luce solare influisce anche sulla produzione di serotonina, una sostanza che migliora l’umore e aiuta a contrastare ansia, stress e disturbi affettivi stagionali. Inoltre, contribuisce a regolare il ciclo sonno-veglia, favorendo un riposo più profondo e rigenerante. 

Infine, in alcune persone, il sole può migliorare condizioni dermatologiche come psoriasi ed eczemi, purché l’esposizione sia moderata e protetta. 

I rischi di una scorretta esposizione al sole 

Esporsi al sole senza protezione può causare scottature, danni cutanei profondi e aumentare il rischio di tumori della pelle. Al centro di questa reazione c’è la melanina, il pigmento che protegge naturalmente la pelle dai raggi UV. Le persone con pelle chiara, avendo meno melanina, sono più soggette a rossori, gonfiore e dolore, tutti segni tipici di una scottatura. 
 
Anche senza bruciature visibili, i raggi UV danneggiano le cellule cutanee. Questo rischio riguarda anche chi ha la pelle scura o si abbronza facilmente. I danni si accumulano nel tempo: ogni esposizione non protetta può contribuire all’invecchiamento precoce e aumentare la probabilità di sviluppare un tumore cutaneo. 

Raggi solari: quali sono le differenze? 

Le radiazioni solari sono classificate in base alla loro caratteristica lunghezza d’onda. Oltre alla luce visibile, si distinguono raggi infrarossi (IR) e ultravioletti (UV). Questi ultimi, sono alla base degli effetti del sole sulla nostra pelle. Esistono diversi tipi: 

  • UVA: rappresentano la maggior parte dei raggi UV. Penetrano in profondità nella pelle e, seppur non causino scottature immediate, sono i principali responsabili dell’invecchiamento cutaneo precoce e possono danneggiare il DNA delle cellule. 
  • UVB: meno abbondanti, sono quelli che stimolano la produzione di vitamina D, ma anche i principali responsabili delle scottature
  • UVC: sarebbero i più pericolosi, ma fortunatamente sono filtrati dallo strato di ozono. 

Come proteggere la pelle in estate?

I filtri solari assorbono o riflettono i raggi UV. Per difendere la pelle sia dai raggi UVB che UVA (che causano invecchiamento precoce della pelle), occorre utilizzare una protezione solare che possa fornire protezione UV ad ampio spettro (UVA/UVB).

Cosa vuol dire SPF?  

Il valore SPF (Sun Protection Factor) indica per quanto tempo i raggi UVB impiegano a causare arrossamenti sulla pelle protetta, rispetto a una pelle non protetta. Ad esempio, un SPF 30 rallenta di 30 volte il processo di scottatura. 

Ma non si tratta solo di tempo: SPF 30 filtra circa il 97% dei raggi UVB, mentre SPF 50 arriva al 98%. Questa differenza dell’1% può sembrare minima, ma equivale a un’esposizione del 50% in più ai raggi UV con SPF 30 rispetto a SPF 50. 

Per chi ha una pelle particolarmente sensibile, fitta di nei, con patologie genetiche (come albinismo o xeroderma pigmentoso), o si espone in ambienti estremi (alta quota, zone equatoriali), è consigliato un SPF 50+ resistente all’acqua e a largo spettro

Quando e quanto SPF mettere sul viso prima dell’esposizione al sole?  

Una corretta applicazione resta fondamentale: 

  • Usa circa 2 cucchiai di prodotto 30 minuti prima dell’esposizione al sole. 
  • Per il viso basta una striscia di crema su indice e medio.
  • Riapplica ogni 2 ore o dopo aver sudato o fatto il bagno. 


Disidratazione: come prevenirla e riconoscerla 

Disidratazione come prevenirla e riconoscerla

Quando le temperature salgono, il nostro corpo ha bisogno di più acqua. 
L’estate porta con sé giornate lunghe, temperature elevate e un aumento naturale della sudorazione. In questo contesto, la disidratazione può diventare un rischio concreto, soprattutto per bambini, anziani e persone con condizioni di salute croniche.  Bere a sufficienza, anche senza sentire sete, è una strategia semplice ed efficace per mantenersi in salute. 

Cos’è la disidratazione 

La disidratazione si verifica quando l’apporto di liquidi non è sufficiente a compensare le perdite dovute alla sudorazione, alla respirazione o alla diuresi. 
Può derivare da: 

  • Assunzione insufficiente di liquidi 
  • Sudorazione eccessiva 
  • Vomito o diarrea 
  • Diabete 
  • Diete sbilanciate 
  • Uso di diuretici o acqua povera di sali 

Tipi di disidratazione  

La disidratazione non è tutta uguale. In base al rapporto tra acqua e sali minerali persi, si distinguono tre forme principali, ognuna con cause e implicazioni diverse: 

Disidratazione ipertonica 

È causata da una perdita prevalente di acqua rispetto ai sali, come accade in caso di intensa sudorazione non compensata.  
Quando accade, il sodio nel sangue aumenta e le cellule si “disidratano” per osmosi. È la forma più comune nelle estati calde o durante un’attività fisica prolungata.  

In questo caso è importante reidratare con acqua e sali minerali (anche tramite frutta fresca o soluzioni reidratanti). 

Disidratazione isotonica  

Quando la perdita di acqua ed elettroliti avviene in proporzioni simili, come succede in caso di vomito o diarrea
Il volume dei liquidi diminuisce, ma la concentrazione di sali rimane stabile. È tipica delle gastroenteriti. 

Disidratazione ipotonica 

In questo caso si perde più sodio che acqua, ad esempio a causa dell’uso eccessivo di diuretici o di un’alimentazione povera di sale associata al consumo di acque molto leggere.  
Il sodio nel sangue cala, provocando una sensazione di debolezza, confusione e sete che non si placa, anche bevendo molto. In questi casi è importante mantenere una dieta bilanciata anche attraverso un corretto uso del sale nei pasti.  

Come prevenire la disidratazione 

Il primo passo per prevenire la disidratazione in estate è ricordarsi di bere regolarmente durante tutta la giornata, anche in assenza dello stimolo della sete. Il corpo, infatti, ha bisogno di reintegrare molto più velocemente i liquidi.  

È importante preferire acqua naturale o bevande non zuccherate, evitando alcolici, bibite gassate o ricche di caffeina, che possono favorire la perdita di liquidi. 

Anche l’alimentazione è molto importante: consumare frutta e verdura ricca d’acqua (come anguria, melone, cetrioli o lattuga) contribuisce a mantenere un buon livello di idratazione. 
Un altro aspetto da non sottovalutare è la qualità dell’acqua: in estate, l’assunzione esclusiva di acque troppo povere di sali minerali può causare squilibri, soprattutto se associata a una dieta restrittiva. 

Quando è necessario consultare un medico 

Una lieve disidratazione si risolve semplicemente aumentando l’assunzione di liquidi. Tuttavia, ci sono situazioni in cui è importante intervenire rapidamente. Se compaiono determinati sintomi prolungatamente, è consigliabile contattare il medico senza aspettare:

  • Febbre alta o persistente
  • Vomito continuo o difficoltà a trattenere i liquidi
  • Crampi muscolari intensi
  • Sensazione di confusione mentale o disorientamento
  • Forte debolezza, sonnolenza o svenimenti
  • Battito cardiaco accelerato o pressione sanguigna molto bassa

Questi sintomi indicano che la disidratazione potrebbe essere avanzata o complicata, e può richiedere una reidratazione più strutturata. In particolare, nei bambini, negli anziani o in persone fragili, non bisogna mai sottovalutare i segnali d’allarme: agire in tempo è la chiave per evitare complicazioni. 

Tumori al cervello: sintomi, diagnosi e perché la consapevolezza fa la differenza 

Tumore al cervello giornata mondiale

L’8 giugno, in occasione della Giornata Mondiale dei Tumori al Cervello, è importante parlare con chiarezza di una patologia complessa, ma sempre più affrontabile grazie ai progressi della medicina. 
I tumori cerebrali possono manifestarsi in modi molto diversi, rendendo la diagnosi precoce una sfida. Eppure, è proprio la consapevolezza il primo passo per affrontarli con serenità e gli strumenti giusti. 

Cosa sono i tumori cerebrali? 

I tumori al cervello sono masse anomale di cellule che si sviluppano all’interno o vicino al tessuto cerebrale. Possono essere benigni, a crescita lenta, oppure maligni, più aggressivi. 
In Italia, secondo gli ultimi dati condivisi dall’Associazione italiana registri tumori – AIRTUM, si registrano oltre 6.000 nuovi casi l’anno, pari al 2% di tutte le diagnosi oncologiche.  

Sintomi da tenere sotto controllo 

I sintomi di un tumore al cervello possono variare notevolmente da persona a persona. Questo accade perché ogni area del cervello controlla una funzione specifica: vista, linguaggio, movimento, memoria, udito. Quando una massa si sviluppa in un’area precisa, la funzione corrispondente può risultare alterata. 

Tra i sintomi più comuni si trovano: 

  • Mal di testa persistente o in peggioramento, spesso diverso dal solito e resistente ai normali analgesici. 
  • Nausea e vomito non giustificabili da altre cause. 
  • Disturbi visivi, come vista offuscata, visione doppia o perdita della visione laterale. 
  • Debolezza, formicolio o perdita di sensibilità in un arto o in una parte del corpo. 
  • Problemi di equilibrio e coordinazione, difficoltà nel camminare o nel mantenere la postura. 
  • Difficoltà nel linguaggio, nella comprensione o nell’espressione. 
  • Cambiamenti nella memoria, nel comportamento o nella personalità. 
  • Crisi epilettiche, anche in chi non ne ha mai sofferto. 
  • Problemi di udito, come perdita o alterazioni della percezione sonora. 

L’aumento della pressione intracranica, dovuto alla crescita della massa, può causare sintomi neurologici più intensi, tra cui mal di testa molto intesi e costanti, e difficoltà motorie, disturbi del linguaggio e peggioramento delle funzioni cognitive. 

Come si arriva alla diagnosi 

Una diagnosi tempestiva consente di agire prima che il tumore provochi danni neurologici rilevanti. Il percorso diagnostico prevede: 

  • Esame neurologico completo 
  • Risonanza magnetica cerebrale (con o senza mezzo di contrasto) 
  • TC encefalo in urgenza 
  • Elettroencefalogramma (EEG) in caso di crisi epilettiche 
  • Biopsia chirurgica o stereotassica, se necessaria per confermare il tipo di lesione 

Percorsi di cura  

Il trattamento dei tumori cerebrali varia in base alla natura del tumore, alla sua localizzazione e alle condizioni del paziente. In molti casi, l’approccio terapeutico prevede un intervento chirurgico, che rappresenta spesso il primo passo per rimuovere la massa tumorale, se localizzabile e operabile in sicurezza. 

Altre tecniche non invasive sono la radiochirurgia stereotassica, che sfrutta fasci di radiazioni ad alta precisione per colpire tumori di piccole dimensioni, senza aprire la scatola cranica. 

La radioterapia viene spesso utilizzata dopo l’intervento, per ridurre il rischio di recidive o trattare porzioni non asportabili del tumore. In alcuni casi può essere associata alla chemioterapia o usata da sola, soprattutto nei tumori inoperabili. 

Anche l’immunoterapia sta emergendo come una possibile arma nella cura dei tumori cerebrali, in particolare dei gliomi di grado IV. Si basa sull’attivazione mirata del sistema immunitario contro le cellule tumorali, attraverso cellule specializzate o molecole in grado di potenziare la risposta immunitaria. 

La diagnosi precoce fa la differenza 

Oggi, grazie ai progressi della medicina, affrontare un tumore cerebrale non significa più essere soli davanti all’incertezza. Ogni passo è guidato da équipe di medici pronte ad accompagnare il paziente verso la guarigione. 

La consapevolezza resta uno strumento fondamentale: saper riconoscere i segnali, affidarsi a specialisti qualificati e non trascurare ciò che il corpo comunica, può fare davvero la differenza. 
 

Intervento di protesi navigata alla spalla: la video-intervista

La chirurgia ortopedica del futuro è già realtà a Casa del Sole.

In questo video, i dottori Luca Maddaluno e Vincenzo De Cupis ci accompagnano all’interno di un intervento di protesi di spalla inversa eseguito con l’ausilio della navigazione intraoperatoria.

Un’evoluzione tecnologica che consente al chirurgo di seguire in tempo reale ogni fase dell’intervento, garantendo una precisione ancora maggiore rispetto alla pianificazione preoperatoria effettuata tramite TAC 3D.

Grazie a questo sistema avanzato, ogni impianto viene eseguito secondo parametri millimetrici, aumentando l’efficacia dell’intervento e la soddisfazione del paziente.

Un esempio concreto di come esperienza chirurgica e innovazione possano lavorare insieme per migliorare i risultati e la qualità della cura.

La video-intervista completa: