Disidratazione: come prevenirla e riconoscerla 

Disidratazione come prevenirla e riconoscerla

Quando le temperature salgono, il nostro corpo ha bisogno di più acqua. 
L’estate porta con sé giornate lunghe, temperature elevate e un aumento naturale della sudorazione. In questo contesto, la disidratazione può diventare un rischio concreto, soprattutto per bambini, anziani e persone con condizioni di salute croniche.  Bere a sufficienza, anche senza sentire sete, è una strategia semplice ed efficace per mantenersi in salute. 

Cos’è la disidratazione 

La disidratazione si verifica quando l’apporto di liquidi non è sufficiente a compensare le perdite dovute alla sudorazione, alla respirazione o alla diuresi. 
Può derivare da: 

  • Assunzione insufficiente di liquidi 
  • Sudorazione eccessiva 
  • Vomito o diarrea 
  • Diabete 
  • Diete sbilanciate 
  • Uso di diuretici o acqua povera di sali 

Tipi di disidratazione  

La disidratazione non è tutta uguale. In base al rapporto tra acqua e sali minerali persi, si distinguono tre forme principali, ognuna con cause e implicazioni diverse: 

Disidratazione ipertonica 

È causata da una perdita prevalente di acqua rispetto ai sali, come accade in caso di intensa sudorazione non compensata.  
Quando accade, il sodio nel sangue aumenta e le cellule si “disidratano” per osmosi. È la forma più comune nelle estati calde o durante un’attività fisica prolungata.  

In questo caso è importante reidratare con acqua e sali minerali (anche tramite frutta fresca o soluzioni reidratanti). 

Disidratazione isotonica  

Quando la perdita di acqua ed elettroliti avviene in proporzioni simili, come succede in caso di vomito o diarrea
Il volume dei liquidi diminuisce, ma la concentrazione di sali rimane stabile. È tipica delle gastroenteriti. 

Disidratazione ipotonica 

In questo caso si perde più sodio che acqua, ad esempio a causa dell’uso eccessivo di diuretici o di un’alimentazione povera di sale associata al consumo di acque molto leggere.  
Il sodio nel sangue cala, provocando una sensazione di debolezza, confusione e sete che non si placa, anche bevendo molto. In questi casi è importante mantenere una dieta bilanciata anche attraverso un corretto uso del sale nei pasti.  

Come prevenire la disidratazione 

Il primo passo per prevenire la disidratazione in estate è ricordarsi di bere regolarmente durante tutta la giornata, anche in assenza dello stimolo della sete. Il corpo, infatti, ha bisogno di reintegrare molto più velocemente i liquidi.  

È importante preferire acqua naturale o bevande non zuccherate, evitando alcolici, bibite gassate o ricche di caffeina, che possono favorire la perdita di liquidi. 

Anche l’alimentazione è molto importante: consumare frutta e verdura ricca d’acqua (come anguria, melone, cetrioli o lattuga) contribuisce a mantenere un buon livello di idratazione. 
Un altro aspetto da non sottovalutare è la qualità dell’acqua: in estate, l’assunzione esclusiva di acque troppo povere di sali minerali può causare squilibri, soprattutto se associata a una dieta restrittiva. 

Quando è necessario consultare un medico 

Una lieve disidratazione si risolve semplicemente aumentando l’assunzione di liquidi. Tuttavia, ci sono situazioni in cui è importante intervenire rapidamente. Se compaiono determinati sintomi prolungatamente, è consigliabile contattare il medico senza aspettare:

  • Febbre alta o persistente
  • Vomito continuo o difficoltà a trattenere i liquidi
  • Crampi muscolari intensi
  • Sensazione di confusione mentale o disorientamento
  • Forte debolezza, sonnolenza o svenimenti
  • Battito cardiaco accelerato o pressione sanguigna molto bassa

Questi sintomi indicano che la disidratazione potrebbe essere avanzata o complicata, e può richiedere una reidratazione più strutturata. In particolare, nei bambini, negli anziani o in persone fragili, non bisogna mai sottovalutare i segnali d’allarme: agire in tempo è la chiave per evitare complicazioni. 

Tumori al cervello: sintomi, diagnosi e perché la consapevolezza fa la differenza 

Tumore al cervello giornata mondiale

L’8 giugno, in occasione della Giornata Mondiale dei Tumori al Cervello, è importante parlare con chiarezza di una patologia complessa, ma sempre più affrontabile grazie ai progressi della medicina. 
I tumori cerebrali possono manifestarsi in modi molto diversi, rendendo la diagnosi precoce una sfida. Eppure, è proprio la consapevolezza il primo passo per affrontarli con serenità e gli strumenti giusti. 

Cosa sono i tumori cerebrali? 

I tumori al cervello sono masse anomale di cellule che si sviluppano all’interno o vicino al tessuto cerebrale. Possono essere benigni, a crescita lenta, oppure maligni, più aggressivi. 
In Italia, secondo gli ultimi dati condivisi dall’Associazione italiana registri tumori – AIRTUM, si registrano oltre 6.000 nuovi casi l’anno, pari al 2% di tutte le diagnosi oncologiche.  

Sintomi da tenere sotto controllo 

I sintomi di un tumore al cervello possono variare notevolmente da persona a persona. Questo accade perché ogni area del cervello controlla una funzione specifica: vista, linguaggio, movimento, memoria, udito. Quando una massa si sviluppa in un’area precisa, la funzione corrispondente può risultare alterata. 

Tra i sintomi più comuni si trovano: 

  • Mal di testa persistente o in peggioramento, spesso diverso dal solito e resistente ai normali analgesici. 
  • Nausea e vomito non giustificabili da altre cause. 
  • Disturbi visivi, come vista offuscata, visione doppia o perdita della visione laterale. 
  • Debolezza, formicolio o perdita di sensibilità in un arto o in una parte del corpo. 
  • Problemi di equilibrio e coordinazione, difficoltà nel camminare o nel mantenere la postura. 
  • Difficoltà nel linguaggio, nella comprensione o nell’espressione. 
  • Cambiamenti nella memoria, nel comportamento o nella personalità. 
  • Crisi epilettiche, anche in chi non ne ha mai sofferto. 
  • Problemi di udito, come perdita o alterazioni della percezione sonora. 

L’aumento della pressione intracranica, dovuto alla crescita della massa, può causare sintomi neurologici più intensi, tra cui mal di testa molto intesi e costanti, e difficoltà motorie, disturbi del linguaggio e peggioramento delle funzioni cognitive. 

Come si arriva alla diagnosi 

Una diagnosi tempestiva consente di agire prima che il tumore provochi danni neurologici rilevanti. Il percorso diagnostico prevede: 

  • Esame neurologico completo 
  • Risonanza magnetica cerebrale (con o senza mezzo di contrasto) 
  • TC encefalo in urgenza 
  • Elettroencefalogramma (EEG) in caso di crisi epilettiche 
  • Biopsia chirurgica o stereotassica, se necessaria per confermare il tipo di lesione 

Percorsi di cura  

Il trattamento dei tumori cerebrali varia in base alla natura del tumore, alla sua localizzazione e alle condizioni del paziente. In molti casi, l’approccio terapeutico prevede un intervento chirurgico, che rappresenta spesso il primo passo per rimuovere la massa tumorale, se localizzabile e operabile in sicurezza. 

Altre tecniche non invasive sono la radiochirurgia stereotassica, che sfrutta fasci di radiazioni ad alta precisione per colpire tumori di piccole dimensioni, senza aprire la scatola cranica. 

La radioterapia viene spesso utilizzata dopo l’intervento, per ridurre il rischio di recidive o trattare porzioni non asportabili del tumore. In alcuni casi può essere associata alla chemioterapia o usata da sola, soprattutto nei tumori inoperabili. 

Anche l’immunoterapia sta emergendo come una possibile arma nella cura dei tumori cerebrali, in particolare dei gliomi di grado IV. Si basa sull’attivazione mirata del sistema immunitario contro le cellule tumorali, attraverso cellule specializzate o molecole in grado di potenziare la risposta immunitaria. 

La diagnosi precoce fa la differenza 

Oggi, grazie ai progressi della medicina, affrontare un tumore cerebrale non significa più essere soli davanti all’incertezza. Ogni passo è guidato da équipe di medici pronte ad accompagnare il paziente verso la guarigione. 

La consapevolezza resta uno strumento fondamentale: saper riconoscere i segnali, affidarsi a specialisti qualificati e non trascurare ciò che il corpo comunica, può fare davvero la differenza. 
 

Intervento di protesi navigata alla spalla: la video-intervista

La chirurgia ortopedica del futuro è già realtà a Casa del Sole.

In questo video, i dottori Luca Maddaluno e Vincenzo De Cupis ci accompagnano all’interno di un intervento di protesi di spalla inversa eseguito con l’ausilio della navigazione intraoperatoria.

Un’evoluzione tecnologica che consente al chirurgo di seguire in tempo reale ogni fase dell’intervento, garantendo una precisione ancora maggiore rispetto alla pianificazione preoperatoria effettuata tramite TAC 3D.

Grazie a questo sistema avanzato, ogni impianto viene eseguito secondo parametri millimetrici, aumentando l’efficacia dell’intervento e la soddisfazione del paziente.

Un esempio concreto di come esperienza chirurgica e innovazione possano lavorare insieme per migliorare i risultati e la qualità della cura.

La video-intervista completa:

19 maggio: Giornata Mondiale delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali  

card grafica contesto relativo alla giornata mondiale delle malattie infiammatorie croniche intestinali. Illustrazione dell'apparato digerente.

La Giornata Mondiale delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI), è un’occasione importante per sensibilizzare sulle patologie come il morbo di Crohn e la colite ulcerosa, e per promuovere un’informazione corretta e accessibile. 
Oggi, grazie alla diagnosi precoce e a cure sempre più mirate, vivere bene con una malattia infiammatoria cronica intestinale è possibile.  

In Italia, si stima che oltre 250.000 persone convivano con una MICI, mentre a livello globale il numero supera i 5 milioni.  

Che cosa sono le MICI? 

Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali comprendono principalmente due patologie: 

  • Morbo di Crohn: malattia infiammatoria cronica che può colpire qualsiasi parte del tratto gastrointestinale, dalla bocca all’ano. L’infiammazione può estendersi a tutti gli starati della parete intestinale, causando ispessimenti, ulcere, fistole e ascessi.  
  • Colite ulcerosa: colpisce il colon, partendo generalmente dal retto fino a estendersi potenzialmente a tutto l’intestino crasso. A differenza del morbo di Crohn, la colite ulcerosa resta limitata al colon e agli strati più superficiali della mucosa intestinale.  

Entrambe le condizioni sono caratterizzate da un’infiammazione cronica dell’intestino, con periodi di riacutizzazione e remissione.  

Sintomi da non sottovalutare 

Le MICI si presentano con sintomi variabili, che possono alternarsi tra fasi attive e periodi di remissione. I più comuni includono: 

  • dolore o crampi addominali. 
  • Diarrea persistente, anche con sangue. 
  • Perdita di peso involontaria. 
  • Stanchezza cronica. 
  • Febbre. 
  • Sensazione di malessere generale. 

In alcuni casi possono manifestarsi anche sintomi extra-intestinali, come dolori articolari, infiammazioni oculari o eruzioni cutanee. 
Riconoscere questi segnali e rivolgersi tempestivamente a uno specialista è il primo passo per impostare un percorso di cura efficace. 

L’importanza della diagnosi precoce 

La diagnosi delle MICI si basa su un approccio integrato, che include: 

  • analisi del sangue e delle feci. 
  • Colonscopia con biopsia. 
  • Esami di imaging come risonanza magnetica o ecografia intestinale. 

Un’identificazione precoce della patologia consente di intervenire prima che l’infiammazione causi danni importanti all’intestino, migliorando la prognosi e riducendo il rischio di complicanze. 
Presso la clinica Casa del Sole, il paziente può contare su un percorso gastroenterologico completo, dalla prima visita fino alla definizione del trattamento personalizzato. 

Una realtà in crescita: le MICI in Italia e nel mondo 

Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali rappresentano una sfida sanitaria in costante crescita sia a livello nazionale che globale. 

Particolarmente preoccupante, in Italia, è l’incremento tra i giovani: negli ultimi 15 anni, i casi di MICI tra gli under 20 sono aumentati del 25%, con una crescita del 22% per il morbo di Crohn e del 29% per la colite ulcerosa nella popolazione pediatrica. 

Questi dati sottolineano l’importanza di una diagnosi precoce e di un approccio terapeutico personalizzato per migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da MICI. 

Strategie per vivere meglio 

Sebbene non esista una cura definitiva, le MICI si possono gestire efficacemente con un trattamento su misura. Le opzioni disponibili includono: 

  • Farmaci antinfiammatori e immunosoppressori 
  • Terapie biologiche mirate 
  • Interventi chirurgici nei casi più complessi 

A queste si affiancano strategie complementari, fondamentali per migliorare la qualità della vita: 

  • Educazione alimentare con un piano nutrizionale personalizzato 
  • Supporto psicologico, soprattutto nei momenti di riacutizzazione 
  • Attività fisica compatibile con lo stato di salute 

Un approccio multidisciplinare e una relazione continuativa con il medico sono elementi chiave per mantenere la malattia sotto controllo e condurre una vita piena, attiva e soddisfacente.  

Giornata Mondiale del morbo di Parkinson: due ricerche italiane aprono nuove speranze per la cura 

morbo di parkinson

La ricerca sul morbo di Parkinson fa importanti passi avanti grazie a due progetti coordinati da scienziati italiani. Entrambi hanno lo stesso obiettivo: trovare nuove cure per una delle malattie neurodegenerative più diffuse al mondo, che colpisce oltre 10 milioni di persone. 

Cellule staminali per rigenerare i neuroni danneggiati 

Il primo studio fa parte del progetto europeo STEM-PD. L’idea è rivoluzionaria: usare cellule staminali embrionali per ricreare i neuroni che nel Parkinson vengono distrutti, in particolare quelli che producono dopamina, la sostanza chimica fondamentale per il controllo dei movimenti. 

Grazie a questa terapia, già testata su otto pazienti in Svezia e Regno Unito, i ricercatori sperano di intervenire per fermare la progressione della malattia, non solo di alleviarne i sintomi. Tra i protagonisti dello studio c’è anche l’Italia, con la professoressa Elena Cattaneo dell’Università degli Studi di Milano, da anni impegnata nella ricerca sulle terapie rigenerative per il sistema nervoso. 

I primi risultati sono promettenti: le cellule trapiantate si sono integrate bene e stanno iniziando a funzionare come neuroni veri. Se la sperimentazione continuerà con successo, potremmo essere vicini a una cura innovativa per il Parkinson. 

Un nuovo modello per studiare il Parkinson giovanile 

La seconda scoperta arriva dall’IRCCS Ospedale San Raffaele e dall’Università Vita-Salute San Raffaele, sempre a Milano. Un team guidato dalla professoressa Jenny Sassone ha creato un modello sperimentale di Parkinson giovanile, causato da mutazioni nel gene PARKIN

Finora, i modelli esistenti non mostravano sintomi reali, fattore che rendeva difficile studiare questo tipo di malattia. Il risultato è un modello “vivo” della malattia, estremamente realistico e replicabile, fondamentale per studiarne i meccanismi e testare nuovi farmaci in condizioni più vicine alla realtà clinica. 

Lo studio apre la possibilità di valutare l’effetto di terapie complementari, come l’attività fisica, che potrebbe avere un ruolo nel rallentare la neurodegenerazione e di analizzare i meccanismi della malattia già nelle fasi iniziali, anche prima della comparsa dei sintomi motori classici (tremori, rigidità, lentezza). 

Nuove prospettive per il futuro della cura del Parkinson 

Questi due progetti, anche se diversi tra loro, ci ricordano quanto la ricerca scientifica italiana sia attiva nella lotta contro il Parkinson. L’obiettivo non è più solo gestire i sintomi, ma arrivare a bloccare il danno neurologico

Grazie all’uso di cellule staminali e a modelli sperimentali sempre più realistici, i ricercatori sperano di offrire presto nuove terapie più efficaci e personalizzate per chi soffre di questa malattia. 

Marzo mese della sensibilizzazione sul tumore del colon retto 

tumore del colon retto

Marzo è il mese dedicato alla sensibilizzazione sul tumore del colon retto, il secondo più frequente in Italia nelle donne e negli uomini rispettivamente dopo quello della mammella e della prostata.  

Il tumore del colon retto nasce dalla crescita incontrollata delle cellule epiteliali della mucosa che riveste l’intestino crasso (colon), si manifesta principalmente nell’ultima parte del colon e, più raramente, nel colon trasverso e discendente.  

I dati in Italia e chi è a rischio 

Nel 2024 in Italia ci sono stati circa oltre 48 mila casi di tumore al colon retto con una diffusione maggiore tra i 60 e i 75 anni, ma il numero dei casi è in aumento anche tra i più giovani.  

Negli ultimi vent’anni, grazie ai programmi di screening, l’incidenza è diminuita nella fascia 50-69 anni con un calo annuo del 3-4% mentre i dati recenti evidenziano un aumento dello 0,4% annuo nei soggetti sotto i 50 anni, inclusi i giovani under 30.  

I fattori di rischio per il tumore del colon retto includono diete, genetica e cause non ereditarie, rendendo tutti potenzialmente esposti al problema.  Dal punto di vista nutrizionale, una dieta ricca di grassi, proteine animali e povera di fibre è associata ad un aumento del rischio, mentre il consumo di frutta e verdura sembra avere un effetto protettivo. Anche l’obesità e la sedentarietà giocano un ruolo sfavorevole.  

Sul piano genetico, circa il 10% dei tumori del colon retto è legato a mutazioni ereditare, avere un parente di primo grado con questo tumore aumenta il rischio di 2-3 volte.  

Diagnosi e cura 

Gli esami fondamentali per la diagnosi di un tumore del colon e del retto prevedono:  

  • Ecografia addominale e pelvica; 
  • Colonscopia con biopsia per esame istologico; 
  • TC; 
  • Anoscopia;
  • Rettoscopia; 
  • RM pelvica;
  • Livello sierico dell’antigene carcinoembrionale. 

Per il tumore del colon: 

  • La chirurgia è il trattamento più comune ed efficace soprattutto negli stadi iniziali, l’intervento poi varia in base alla sede e all’estensione del tumore; 
  • La chemioterapia e/o l’immunoterapia con nuovi farmaci biologici vengono i impiegati nelle fasi avanzate, in presenza di metastasi, con l’obiettivo di rallentare l’evoluzione della malattia; 
  • Farmaci a bersaglio molecolare e Immunoterapia 

Per il tumore del retto: 

  • Chirurgia; 
  • Stomia; 
  • Chemioterapia e Radioterapia; 
  • Trattamento conservativo, in circa il 16-27% dei casi, si ottiene una risposta completa alla terapia. 

Come prevenire? 

In Italia è attivo un programma nazionale di screening per la diagnosi precoce, con modalità che variano tra le Regioni e, generalmente, prevede la ricerca del sangue occulto nelle feci ogni due anni per le persone tra i 50 e i 70 anni. In alternativa è possibile sottoporsi ad una rettosigmoidoscopia, da effettuare una sola volta tra i 58 e i 60 anni e da ripetere eventualmente ogni 10 anni. 

28 febbraio: Giornata mondiale delle malattie rare

Malattie Rare

Il 28 febbraio si celebra la Giornata delle Malattie Rare, un evento mondiale che ha l’obiettivo di aumentare la consapevolezza sulle stesse e di mettere in luce il loro effetto sulla vita dei pazienti che ne sono affetti.  

In Europa una malattia si definisce rara quando colpisce non più di 5 individui ogni 10mila persone. Si conoscono tra le 6mila e le 8mila malattie rare, molto diverse tra loro ma spesso con comuni problemi di ritardo nella diagnosi, mancanza di una cura, e carico assistenziale. 

Nel loro insieme, rappresentano una sfida sanitaria di grande rilevanza, coinvolgendo milioni di persone in tutto il mondo. Nonostante la loro rarità individuale, il numero complessivo di queste patologie le rende un problema significativo per i sistemi sanitari e per la società. 

Origine e caratteristiche delle malattie rare 

Si stima che circa l’80% delle malattie rare abbia un’origine genetica, mentre il restante 20% sia legato a cause multifattoriali. Queste ultime possono derivare da una combinazione di predisposizione individuale e fattori esterni, come l’ambiente o l’alimentazione, oppure dall’interazione tra genetica e fattori ambientali.

Queste patologie possono manifestarsi in momenti diversi della vita: alcune si presentano già in fase prenatale, altre alla nascita o durante l’infanzia, mentre alcune insorgono solo in età adulta. 

Nonostante l’eterogeneità di queste patologie, esistono alcune problematiche comuni che i pazienti e le loro famiglie si trovano ad affrontare: 

  • Difficoltà nella diagnosi: il percorso per ottenere una diagnosi corretta è spesso lungo e complesso; 
  • Limitate opzioni terapeutiche: molte di queste non dispongono di cure risolutive; 
  • Impatto cronico e invalidante: in molti casi, la malattia comporta una gestione a lungo termine con conseguenze sulla qualità della vita; 
  • Peso sociale e familiare: il supporto ai pazienti coinvolge non solo il sistema sanitario, ma anche le famiglie e la società. 

Il ruolo delle istituzioni 

Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha fatto progressi significativi nella comprensione dei meccanismi alla base delle malattie rare, ma è fondamentale continuare a investire per sviluppare nuove strategie diagnostiche e terapeutiche. 

In Italia, dal 2001 sono stati istituiti strumenti fondamentali per migliorare la gestione di queste patologie: 

Aumentare la consapevolezza sulle malattie rare è essenziale per migliorare la diagnosi precoce, favorire la ricerca e garantire ai pazienti il supporto di cui hanno bisogno. Ogni passo avanti nella conoscenza e nella cura di queste patologie può fare la differenza per milioni di persone. 

Disturbo Affettivo Stagionale (SAD)

Ad oggi è ormai noto come il cambiar delle stagioni riesca a influenzare il comportamento e l’umore dell’uomo ma, già nel 400 a.C., Ippocrate descrisse un disturbo depressivo correlato ai cambiamenti stagionali, e in quell’epoca i medici greco-romani erano soliti curare la depressione con l’esposizione diretta alla luce solare. 

Dopo molti anni, nel 1984 venne diagnosticato il Disturbo Affettivo Stagionale, caratterizzato da episodi depressivi prevalentemente in autunno e in inverno, con remissione dei sintomi durante la primavera e l’estate. 

Che cos’è?

Il Disturbo Affettivo Stagionale è un disturbo dell’umore caratterizzato da episodi depressivi ricorrenti in specifiche stagioni dell’anno.  
Chi ne soffre, presenta sintomi depressivi che seguono un andamento ciclico e prevedibile. 

Quali sono i sintomi 

Tra i sintomi più comuni è possibile trovare: 

  • l’alterazione del sonno; 
  • l’iperfagia; 
  • la stanchezza mentale e fisica; 
  • la difficoltà di concentrazione; 
  • un generale senso di confusione; 
  • Irritabilità. 

Nell’ultima recente edizione del manuale diagnostico dei disturbi mentali, il SAD viene riconosciuto come una vera e propria categoria diagnostica. 

È possibile distinguere due forme di SAD: la forma invernale e la forma estiva. 
La prima esordisce in autunno, raggiunge la massima intensità nei mesi invernali e si ‘risolve’ con l’arrivo della primavera. La forma estiva invece, si manifesta in primavera, peggiora durante l’estate e si attenua in autunno.  

Le cause 

Sono state sviluppate diverse teorie per spiegare la patologia del Disturbo Affettivo Stagionale, recentemente è stato evidenziato uno studio condotto dalla dott.ssa Brenda Mc Mahon e dall’Università di Copenaghen, il quale ha ipotizzato che nelle persone affette da SAD la produzione di serotonina subisca variazioni stagionali e varia in base alla quantità di luce presente. 

Attraverso scansioni celebrali con la Tomografia a emissione di positroni, su 11 pazienti con SAD e 23 soggetti sani, lo studio ha rilevato livelli più elevati di serotonina nei mesi invernali nei pazienti che soffrivano di SAD.  
Questo incremento favorirebbe una maggiore rimozione della serotonina contribuendo così alla sintomatologia depressiva, mentre nei soggetti sani tale fenomeno non veniva manifestato. 
Il trasportatore della serotonina (SERT) conduce indietro la serotonina nelle cellule nervose in cui non è attiva, in modo che più alta è l’attività SERT, minore è l’attività della serotonina. 

Un’altra teoria coinvolge la melatonina, un ormone regolato dall’esposizione alla luce solare. Prodotta dalla ghiandola pineale, la sua secrezione è controllata dall’orologio circadiano endogeno ma può essere modificata dalla luce solare.  
Troppa melatonina può causare sonnolenza, apatia e debolezza, sintomi comuni del SAD. 

Il Disturbo Affettivo Stagionale è un disturbo dell’umore presente più frequentemente nelle donne, che sono associate a un rischio aumentato di circa quattro volte rispetto agli uomini. 

I rimedi 

Una dieta equilibrata, il ridurre l’assunzione di caffeina e fare esercizio fisico possono aiutare, come anche il trascorrere più tempo possibile all’aria aperta perché, anche quando è nuvoloso, la luce è sempre superiore che al chiuso. 

Attualmente, i trattamenti più efficaci per il SAD sono la fototerapia, la terapia farmacologica, la somministrazione di aria ionizzata e il completamento temporizzato della melatonina. 

La fototerapia, considerata il trattamento più efficace, si basa sull’uso di una lightbox, una lampada che emette una quantità di luce nettamente superiore a quella di una normale lampada a incandescenza.  
Viene praticata a 30-60 centimetri dalla fonte luminosa, con gli occhi aperti ma senza fissare la luce per un tempo che va dai 30 ai 60 minuti. 

La fototerapia può anche consistere nell’esposizione naturale alla luce del sole, trascorrendo più tempo all’esterno o utilizzando un eliostato controllato da un computer per riflettere la luce del sole nelle finestre di casa o dell’ufficio. 

Qualora questa non risulti sufficiente, si ricorre alla terapia farmacologica a base di antidepressivi. 

La somministrazione di aria ionizzata consiste nel rilascio di particelle cariche nell’ambiente durante il sonno e si è dimostrata efficace nel 47,9% dei casi, ma solo se la quantità di ioni negativi rilasciati è sufficiente. 

Infine, l’esercizio fisico è un’ottima terapia antidepressiva, soprattutto se combinato con altri trattamenti per il SAD, migliora l’umore e riduce i sintomi depressivi. 

Gennaio mese della senibilizzazione del Tumore alla Cervice 

tumore cervice

Gennaio è il mese dedicato alla prevenzione del tumore alla cervice, uno dei più frequenti nelle donne sotto i 50 anni di età.  

Questo mese rappresenta un’occasione importante per sensibilizzare le donne riguardo tutti gli strumenti messi a loro disposizione per sottoporsi a esami mirati a identificare eventuali malattie ginecologiche e per curarle tempestivamente.  

 I numeri in Italia e le cause più frequenti 

Il Ministero della Salute ricorda che nel 2024 sono state stimate circa 2.382 diagnosi del cancro al collo dell’utero, tra cui il 4% appartiene alla fascia di età giovanile e sono 49.800 le donne guarite in Italia.  

La causa più frequente di questo tumore è il Papilloma Virus (HPV), una malattia sessualmente trasmissibile, la quale può portare a gravi conseguenze se non si regredisce spontaneamente.  Oltre all’HPV, altri fattori di rischio che contribuiscono alla formazione del tumore alla cervice sono il fumo, l’inizio precoce dell’attività sessuale, i casi genetici, una dieta povera di frutta e verdura e l’obesità.  

Gli esami di screening per il tumore alla cervice

Lo screening del tumore alla cervice si basa su due test principali: 

  • Pap test
  • HPV-DNA test

Il Pap test viene offerto ogni 3 anni alle donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni mentre il test per il Papilloma Virus viene raccomandato alle donne di età maggiore di 30 con una frequenza di 5 anni. 

In caso di positività all’HPV test la donna viene sottoposta al Pap test come approfondimento diagnostico per individuare eventuali alterazioni cellulari e, se necessario, viene indirizzata alla colposcopia, ovvero un esame che tramite il colposcopio visiona la cervice uterina ingrandita così da confermare o meno la presenza di tumori.  

Nel momento in cui il Pap test non evidenzia alterazioni significative, l’HPV test viene ripetuto dopo un anno.  

Cosa fare per ridurre il rischio? 

La fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ha lanciato una strategia con dei punti chiave da raggiungere entro il 2030 per eliminare il tumore alla cervice

  • Il 90% delle ragazze devono essere vaccinate con tutti i richiami previsti per l’HVC entro i 15 anni di età; 
  • Il 70% delle donne devono essere sottoposte a screening entro i 35/45 anni; 
  • Il 90% delle donne con tumore alla cervice devono essere sottoposte ai trattamenti adeguati.  

Giornata Mondiale contro l’AIDS 

AIDS

Il 1° dicembre si celebra la Giornata Mondiale contro l’AIDS, istituita nel 1988 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questa data è dedicata a sensibilizzare sull’AIDS, sostenere le persone colpite e ricordare chi ne è vittima. L’obiettivo è promuovere la prevenzione e combattere lo stigma, ancora oggi un ostacolo alla diagnosi e al trattamento. 

Cos’è l’AIDS? 

L’AIDS (Sindrome da Immunodeficienza Acquisita) è lo stadio avanzato dell’infezione da HIV (Virus dell’Immunodeficienza Umana). Questa malattia colpisce il sistema immunitario, compromettendone la capacità di difendersi da infezioni e tumori. L’HIV si trasmette attraverso sangue, rapporti sessuali non protetti, utilizzo di strumenti contaminati e da madre a figlio durante gravidanza, parto o allattamento. 

Numeri sull’AIDS in Italia 

Nel 2023, l’Italia ha registrato 2.349 nuove diagnosi di HIV, un aumento rispetto al 2022 (2.140) e vicino ai livelli pre-pandemia. Oltre il 60% delle diagnosi è stato effettuato in fase tardiva. Gli uomini di 30-39 anni rappresentano il gruppo più colpito, mentre, tra le donne, la fascia più a rischio è quella tra i 20 e i 29 anni. 

Il Lazio registra il tasso di incidenza più alto con 5,5 casi ogni 100.000 abitanti, seguito da Umbria ed Emilia-Romagna. L’autodiagnosi tardiva è un problema crescente, aggravando il rischio di AIDS conclamato, con 532 nuovi casi nel 2023. 

Prevenire e sensibilizzare 

La prevenzione resta il pilastro fondamentale per arginare la diffusione dell’HIV. Misure chiave includono: 

  • Test regolari e tempestivi per individuare l’infezione precocemente. 
  • Utilizzo del preservativo, fondamentale per prevenire la trasmissione sessuale. 
  • Educazione sessuale, per abbattere pregiudizi e disinformazione. 
  • Accesso alle terapie per chi è sieropositivo, che riducono il rischio di contagio. 

Sul sito del Ministero della Salute puoi leggere e approfondire su tutto ciò che riguarda l’AIDS.